Ugo per immagini – L’incipit

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“Di solito, a tarda sera, si riuniscono in gruppetti di cinque, sei ragazzi. Stasera, seduti sul bordo della piccola fontanaLa fontana all'Arengario sono soltanto in due, un ragazzo e una ragazza. I diciotto anni non li superano di sicuro. Bastano pochi minuti per rendermi conto che lui, da come parla, gesticola e la guarda, è vittima di una bella cotta. Che lei gradisca la corte non ho dubbi, ma a quell’età è risaputo come le donne siano più mature dei maschi. Con il suo atteggiamento gli sta dando l’illusione che sarà stato lui a conquistarla, mentre ciò avverrà se e quando sarà lei a deciderlo.

Le loro chiacchiere mi tengono compagnia mentre sto compiendo quei gesti che, ormai, fanno parte di un consolidato rituale. Mi sto preparando per andare a dormire.

Per prima cosa allargo un paio di cartoni e li stendo nel mio angolino preferito. Subito dopo, stacco da un gancio che spunta dal muro lo zainetto che contiene il sacco a pelo. Un altro paio di cartoni li apro ma li appoggio contro una parete, saranno la mia coperta. Posiziono con cura il cuscinetto che mi ha regalato Simone, l’ambulante del mercato che vende stoffe e tendaggi per la casa. Dallo zainetto tiro fuori anche la bottiglietta d’acqua, la metto vicino al cuscino. Soddisfatto, osservo il risultato di tanto lavoro e non ho niente di cui lamentarmi. Una volta sdraiato avrò sotto di me, e sarò circondato, da pietre e cotto del tredicesimo secolo, e il mio sguardo si perderà sulle travi a vistaLe travi sotto il portico dell'Arengario che occupano il soffitto all’interno del portico dell’Arengario.Il portico dell'Arengario

Anche se è difficile pensarlo, almeno in un aspetto della mia attuale esistenza mi sento un privilegiato: tutte le sere potrei dormire in un posto diverso. Mi capita spesso di farlo, posti confortevoli per uno come me ce ne sono in quantità, ma l’Hotel ArengarioL'Hotel Arengario rimane il mio preferito.

A Monza non siamo in tanti a vivere in queste condizioni e, a parte quelli che sfruttano con regolarità i ricoveri della Caritas, gli altri prediligono le architetture più moderne. Per avere conferma basta fare un salto nella vicina Piazza Cambiaghi, sotto i portici del nuovissimo palazzo che ospita la sede della Regione.Portici palazzo della Regione Credo si sentano più a loro agio circondati da cemento e vetrate,Vita da clochard io ho più feeling con i muri che trasudano storia.La storia dell'Arengario

Il sottile tira e molla amoroso dei due ragazzi prosegue, ma adesso si sono messi a fantasticare sul loro futuro. La scuola, gli esami di maturità, la scelta dell’università, il domani della loro vita.

Ho piacere ad ascoltarli, finalmente due giovani con la testa sulle spalle; ci sono sere che, a sentire certi discorsi fatti da loro coetanei, mi viene voglia di raccogliere le mie cose e andare da un’altra parte.

Loro pensano al futuro, io non più; da quindici anni quando il destino, o forse un progetto divino, me l’ha cancellato. Da allora vivo alla giornata, mi addormento ogni sera per terra e se dopo qualche ora riapro gli occhi, è perché mi è andata bene. Mi stanno regalando un altro giorno da vivere.

Dei due è lui il più calato nella parte, mi fa tenerezza, non ho dubbi che ci tenga davvero a quella ragazza. Lei continua a fare la furbetta, ma le piace la situazione, eccome.

Mi distraggo per un attimo guardando la sequenza delle travi antiche, e mi perdo quale sia l’aggancio che inizia a farli cantare.

Sento lui che accenna una canzone, è anche intonato e canticchia:

 “Più ti guardo e più mi meraviglio, e più ti lascio fare, che ti guardo e anche se mi sbaglio, almeno sbaglio bene, il futuro è tutto da vedere, tu lo vedi prima…”

Lei lo zittisce con un dito poggiato sulle labbra, sorride e gli prende una mano cantando:

 “Le donne lo sanno, c’è poco da fare, c’è solo da mettersi in pari col cuore, lo sanno da sempre, lo sanno comunque per prime…”

Accidenti, che bei testi, non ho idea di chi siano, ma se i due ragazzi li conoscono così bene a memoria devono essere di un cantante famoso.

E dai, su, baciatevi, ma che aspettate. E invece rimangono a guardarsi negli occhi.

A me gli occhi cominciano a chiudersi.

M’infilo nel sacco a pelo, metto sopra gli altri cartoni fino a coprirmi anche la testa. Stasera mi addormento con la compagnia di una sana gioventù, un sottofondo musicale, la mente sgombra e il cuore caldo.

 

Un diverso tipo di caldo, il calore di un incendio, mi ha risvegliato nel cuore della notte. Qualcuno mi aveva gettato contro una molotov.

Mi chiamo Ugo, ho sessantadue anni, sono uno dei pochi barboni, o clochard, o senzatetto, o senza fissa dimora storici di Monza. Adesso vi racconto tutto ciò che il destino mi ha regalato, dopo aver riaperto gli occhi dentro un letto d’ospedale.”

Continua…